Prestigio del terrore. Edizioni Masses, Il Cairo, 17 agosto 1945

8,00 €
Tasse incluse

Autore: Georges Henein (a cura di Mario Lippolis) - 2007 - ISBN 88-86345-20-8 - Colibrì

Traduzione dal francese di Mario Lippolis della riedizione a cura delle Éditions la séance continue, Parigi 1998. Questa traduzione è comparsa nel primo numero di una pubblicazione confidenziale denominata Parole al vento. Premessa 11 settembre 2001 o 8 agosto 1945? Secondo i dispacci del Ministero della Verità è la prima delle due date a inaugurare l'inaudita nuova epoca (l'ennesima, gli addetti ne dichiarano aperta quasi una al giorno: tanto ormai chi si ricorda di tutte le innumerevoli precedenti che nessuno ha mai dichiarato chiuse?): quella del protagonismo mondiale del terrorismo. Dopo la celebrazione di un certo numero di Settimane dell'Odio, seguono immancabili disposizioni operative bellico-umanititarie del Ministero dell'Amore. Ma, prima ancora che Orwell prevedesse queste forme del totalitarismo spettacolare contemporaneo, esattamente sessanta anni fa, Georges Henein aveva scritto che era "una delle date più basse nella carriera dell'umanità", la data in cui giungeva notizia che, dopo l'annientamento del 6 agosto dell'intera popolazione inerme della città giapponese di Hiroshima ad opera della bomba atomica statunitense, Stalin prontamente aveva dichiarato guerra al Giappone disfatto e disposto ad arrendersi, come a segnalare che il terrore totalitario usciva trionfante, ricco di consenso e di prestigio popolare, dalla sconfitta delle sue forme arcaicizzanti nazifasciste, attraverso la penetrazione senza resistenze del comportamento politico hitleriano in tutte le istanze organizzate di quelle che insistevano a presentarsi come democrazie borghesi o popolari. Dopo oltre mezzo secolo la sua voce ci giunge particolarmente chiara e brillante, come la luce delle stelle che non ci sono più. Anzi doppiamente, perché — se si guarda alla sua cancellazione totale da parte del paese che pure dedica il massimo culto sciovinista ai minimi imbrattapagine, purché scarabocchino o abbiano scarabocchiato nel suo idioma — ufficialmente Henein non c'è mai stato. È stato uno spirito lucidissimo, un grande scrittore, un principe dell'insolenza poetica e sovversiva, ha colmato con sintesi fulminea le principali lacune teoriche del detto più importante di Marx ("Lavoratrici di tutti i paesi, siate belle!"), il più grande paese arabo gli è debitore tanto dei primi nuclei di critica sociale che della rivelazione pubblica del lato sovversivo dell'arte, ma Henein si permetteva di essere egiziano senza essere islamico integralista né moderato, bensì ateo, rivoluzionario e addirittura surrealista. Dunque qualcosa oggi di semplicemente inammissibile. Una volta di più possiamo constatare che, a suo tempo, tutto è stato detto, ma quanto pochi hanno saputo ascoltare. Nel 1945, però, Henein aveva almeno come naturale uditorio un ambiente che andava da Breton e dai surrealisti a Bruno Rizzi, da De Rougemont a Silone, da Camus a Gide a riviste come "politics" (Dwight Macdonald) e "Partisan Review", che avevano collaboratori e amici come Orwell e Arendt, ma oggi? Le rive dei mari su cui viaggiassero in bottiglia scritti simili — se qualcuno sapesse ancora scriverli — avranno tuttora abitanti? "È proprio perché quasi nessuno ha ascoltato — osserva qualcuno — che tutto dev'essere detto daccapo, anche se può apparire inutile". Giusto, con questa importante correzione: non "anche se" ma proprio perché la messa in circolo di parole degne di qualche considerazione appare secondo ogni verosimiglianza inutile, come le parole al vento, essa merita di essere fatta: "Noi non miriamo né all'aumento dell'industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell'uomo (…). Confessiamo schiettamente che il nostro Giornale non avrà nessuna utilità. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un Giornale che faccia professione d'essere inutile" (Giacomo Leopardi, Preambolo a Lo Spettatore Fiorentino, 1832). Mario Lippolis

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