Di sconfitta in sconfitta. Considerazioni sull'esperienza brigatista alla luce di una critica del rito del capro espiatorio

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Autore: Vincenzo Guagliardo - 2012 - ISBN 88-86345-45-3 - Colibrì

Perchè una riedizione dello scritto di Vincenzo Guagliardo Di sconfitta in sconfitta? La prima edizione non ha avuto una grande diffusione, non ha "meritato" o "attirato" nessuna attenzione mediatica, ma ha invece innescato un dibattito ed aperto tematiche sufficienti a giustificare la riproposta di questo testo. Vincenzo Guagliardo applica la critica del rito del capro espiatorio alla storia delle Brigate Rosse sia nella fase della costituzione e dell'ascesa di questa formazione armata, in cui il nemico era esterno e certo, sia nella fase discendente, nella sconfitta, dove il problema della tenuta dell'organizzazione era prioritaria, il nemico diventava interno e, come prima, si continuava a rimandare a "un secondo tempo la discussione" su ciò che "si voleva costruire in alternativa al presente". L'esperienza brigatista, che ha segnato la vita di Vincenzo Guagliardo, è comunque sullo sfondo, il fine della sua ricerca non è quello di fare storie o bilanci dell'organizzazione in cui ha militato, o della sua vita, ma quello di aprire una riflessione più ampia che riguarda la condizione umana degli oppressi e che si applica anche a quella degli oppressori. La vicenda brigatista quindi si perde nelle migliaia di rivolte e insorgenze che si sono susseguite nella storia: tutte hanno il marchio della sconfitta, e su questo Guagliardo ci dice che manca ancora una riflessione. Propone al riguardo un approccio storico al problema che a suo avviso permetta di acquisire una visione che non rinnovi la colpevolizzazione degli individui, "derivato psicologico di quel centro istituzionale che è il principio vittimario" e questo per continuare a cambiare se stessi: "perché cambi il mondo è proprio la riflessione sulle sconfitte quella più utile". Il rito del capro espiatorio per funzionare ha bisogno di un nemico, quindi di una sua individuazione e di una sua messa all'indice, ma ha anche bisogno di rimozioni, di mutilazioni, una di queste è quella del contesto; per l' "oppresso" è anche importante cancellare il suo antagonismo, poi tutto può procedere senza intoppi. Paolo Persichetti, nello scritto presente in questo libro, si scaglia contro il "filone complottista" elaborato dalla sinistra, e non solo, che ha rielaborato la storia degli anni settanta ed ha individuato un nemico, le "formazioni terroristiche", a cui attribuire i propri insuccessi e poi, per dare una ragione alle loro ulteriori sconfitte, ha elaborato una teoria del "doppio stato" che manovrerebbe ai loro danni. Si segue anche qui il registro del rito del capro espiatorio. Nella vicenda delle Brigate Rosse lo stato italiano, quello democratico, non si è accontentato di scriverne la storia come suo diritto in quanto vincitore, ha aggiunto qualcosa in più, l'ha fatta scrivere ai vinti. Questi hanno dovuto individuare il nemico, sia interno a se stessi che esterno, e mettere all'indice quelli che si sono sottratti ad un percorso di "autentico ravvedimento", hanno rielaborato e ricostruito la loro e l'altrui storia, ne sono diventati i detentori e, grazie a una corsia preferenziale sia giudiziaria che massmediatica, ne vorrebbero avere il monopolio. Si sono quindi costruiti una identità integerrima che non può scendere a patti con i vecchi compagni che ora sono i loro nemici. Queste identità individuali e di gruppo non sfuggono al rito del capro espiatorio in quanto ne sono un suo derivato, l'identità diventa una prigione con le relative conseguenze paranoidi. A tutte queste costruzioni identitarie la realtà gioca sempre qualche scherzo, da ultimo vediamo il caso di Cesare Battisti, un "terrorista" degli anni '70 con quattro condanne all'ergastolo che si è sottratto alla giustizia italiana rifugiandosi in Brasile. Questi si professa innocente, dichiara che è tutta colpa dei pentiti ecc. ed avendo voce data la sua intricata situazione (anche la Francia è coinvolta in questo pasticcio), scompiglia un quadro già definito e considerato giudiziariamente chiuso. Il parlamento italiano come un "sol uomo" richiede che Cesare Battisti venga estradato. Un vero capro espiatorio, un nemico certo, il parlamento italiano è compatto, diventa in un attimo "giustizialista" a 360 gradi, svaporano tutte le ostilità come se ci fosse un'emergenza, uno tsunami da affrontare, non può mediaticamente comunicare ai suoi elettori che una delle motivazioni per cui non viene concessa l'estradizione è quella che in Brasile non esiste la pena dell'ergastolo mentre in Italia si. Tommaso Spazzali ci ricorda, sempre in questo libro, che in Italia vi sono più di 1.200 detenuti condannati all'ergastolo. Anche il potere è vittima del rito del capro espiatorio, deve seguire il suo decalogo, lo può manovrare, ne ha i mezzi, ma non può emanciparsi dalla sua logica, sa che le "classi subalterne", il "popolo", "la società civile" sono "possedute da un inconscio espiatorio" e agisce di conseguenza, un "nemico" è indispensabile, serve alla coesione sociale. È ora di dare inizio ad una storia che abbia come fondamento la non collaborazione alla servitù volontaria.

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