Storia senza memoria. Rossellini, Chabod, il Portico d'Ottavia e altri saggi

18,00 €
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Autori: Gaspare De Caro, Roberto De Caro - 2008 - ISBN 88-86345-86-0 - Colibrì

La storia contemporanea italiana offre non poche occasioni al senso di opportunità della storiografia, che comunque si è esercitato con particolare zelo a proposito del passaggio di regime all'indomani della seconda guerra mondiale. Ad appropriata distanza dagli eventi oggi gli stessi storici riconoscono senza troppa difficoltà il contributo delle manipolazioni storiografiche alla gestione indolore della transizione. Rimanendo fermo contro queste ammissioni il dubbio ­ lecito nell'immediato e corroborato dagli eventi successivi ­ che reticenza, distorsione, amnesia fossero davvero fondamenti propizi ad una decente ricostruzione della vita nazionale e non piuttosto incentivi alla perpetuazione di antichi vizi della nazione e dello Stato, sembra storicamente significativo interrogare in proposito le scelte di due personaggi eminenti della cultura italiana, Roberto Rossellini, che a suo modo fece opera di storico, e Federico Chabod. Il test che proponiamo è quello del razzismo e del debito relativo della cultura e della società italiane; le risposte ­ l'uno un impossibile, incredibile silenzio, l'altro una ostinata negazione dell'evidenza ­ ribadiscono la storica inadeguatezza dell'intellighenzia italiana, anche nelle espressioni migliori, a dare testimonianza autentica dei drammi della società.[...] Al contrario del caso precedente di massima conservazione della memoria, ce ne sono di quelli che la storiografia lascia svaporare nei bassifondi della cronaca, impedendo che varchino la soglia della storicità. Talora del tutto a torto, come nell'ultimo caso qui di seguito evocato, l'iter di una recente innovativa legge italiana sui tutori dell'ordine pubblico Š Nella circostanza infatti la Sinistra ha pubblicamente deposto gli orpelli di una mitica diversità, dichiarando il suo ruolo effettuale di inseparabile complemento della Destra nella tutela di ciò che è e non si può davvero pensare che non sia. Bisogna anzi riconoscerle una più pronta, concorrenziale adattabilità alla logica binaria dell'attuale emergenza senza fine: se in essenza è tutta questione di Ordine e Disordine, come negarsi la gestione manu militari dell'esistente? Non tanto per ciò che illumina del passato (se è vero che l'anatomia dell'uomo è chiave a quella della scimmia), ma per i sinistri presagi di un futuro sinistro l'episodio merita bene dignità di memoria storica.[...] Un buon esempio di latitanza storiografica per omissione, riduzione o capziosità giustificativa è l'episodio dello Judenrat del ghetto di Varsavia, l'aberrante organo di autogoverno istituito dalle autorità tedesche di occupazione, con eminenti compiti di ordine pubblico e di cooperazione al docile trasferimento della popolazione ebraica nei luoghi della Endlösung. Di questa peculiarmente mostruosa ma paradigmatica incarnazione del Leviatano, in cui governanti e governati sono ugualmente destinati allo sterminio, ma non per questo vengono meno i privilegi, il cinismo e la ferocia repressiva del ceto investito di autorità statuale, le fonti danno ampiamente conto e se ne fa degnamente eco il film che Roman Polanski ha dedicato al ghetto di Varsavia. Non altrettanto la storiografia, che per varie ragioni di opportunità, cui a suo luogo si farà riferimento, preferisce piuttosto insistere su un altro momento certamente significativo di quella disperata vicenda, l'eroica insurrezione finale dei sopravvissuti contro l'esercito di occupazione, dimenticando peraltro, e così eludendo una differenza ineludibile, che la rivolta armata cominciò contro lo Judenrat e lo Jüdischer Ordnungsdienst, la polizia ebraica del ghetto.[...] Per finire ci si consenta una rilevazione [...] su chi e come possa esprimere giudizi storici. [...] è la magistratura a fornire risposte di cui gli storici solevano arrogarsi la competenza. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha chiarito infatti che cosa si debba intendere per "civiltà italiana", che cosa storicamente per laicità dello Stato e quali di questo e di quella siano i simboli storicamente accreditati. Bisogna senz'altro riconoscere che i giudici, stabilendo con forza di legge "l'origine religiosa dei valori che connotano la civiltà italiana" e che i simboli confessionali funzionano altrettanto bene come simboli di laicità, hanno drasticamente tagliato un nodo che gli storici erano incapaci di sciogliere, sempre infantilmente impastoiati in storiche dande di libera Chiesa in libero Stato, strascichi di laicismo profano con simboli perversi a Campo de' Fiori e al Gianicolo e altre dimenticabili deroghe dalla sacra simbiosi storica. [...] Non intendiamo comunque discutere nel merito la sentenza; ci limitiamo a constatare che la sua chiave di lettura della "civiltà italiana", se esonera gli storici da fatiche definitorie sempre improbe, non chiarisce però i termini cronologici della questione. Quand'è che la "civiltà italiana" comincia a compenetrarsi di valori religiosi: dal sacco visigoto di Roma, come diceva Chabod, o dal ritorno dall'esilio avignonese? dal Concilio di Trento o dal Sillabo? O non sarà dagli anni Venti, col compenetrato regime di allora? Un grande lavoro si prepara per gli storici: nei giusti limiti, si capisce, con prudenza e senza eccessi di memoria.

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