Lo scannatoio del lunedì
Autore: Fabio Chiriatti - 2015 - ISBN 9788898773121 - Kurumuny
«Io a volte devo controllare di esserci tutta, ma tutta davvero. Perché se un giorno non mi trovassi più, non saprei dove andarmi a cercare». Cogliendo una sintesi del lavoro drammaturgico di Fabio Chiriatti, qualcosa che consenta di leggerne il gusto e intravederne l’ossatura, si potrebbe assumere questa considerazione – espressa dalla voce protagonista di Mappughe – come il filo rosso che lega i personaggi dei testi qui raccolti, Mappughe, appunto, I Saburchi e Casca la terra. Come sottolinea nell’introduzione Renata Margherita Molinari, si tratta di «tre storie di spaesamento, in cui l’impianto drammaturgico e la lingua scenica, molto diversi da un testo all’altro, trascinano inesorabilmente il lettore-spettatore verso l’altrove in cui sarebbe possibile – è stato possibile, forse sarà possibile – trovare quiete, se non pace. C’è stata e forse continua a esserci, da qualche parte, un’integrità perduta, un’appartenenza appena percepita, una possibilità di vivere generando e sentendosi generati. La lingua e il corpo portano i segni di questo altrove e si fanno strumenti per la sua esplorazione». Facile individuare in Fassbinder e Annibale Ruccello i riferimenti per queste figure ai margini, che cercano in qualsiasi modo di ritardare il momento in cui la vita va a rotoli, definitivamente. Ma, oltre alla solidità e alla ricchezza letteraria, il lavoro drammaturgico del trentenne Chiriatti colpisce per la schiettezza con cui parla al lettore-spettatore: perché «ha il pregio di non prestarsi ad astuzie formali e di assumersi la responsabilità di addentrarsi in zone buie e pericolose dell’animo umano. Dalle quali emergono figure complesse, da prim’attori». Scrive in proposito Diego Vincenti, critico teatrale per «Il Giorno» e «Hystrio»: «Un teatro meticoloso, di grandi potenzialità drammaturgiche, dove un dettaglio struggente, un (in)atteso punto di vista, aprono squarci di emozione che trova i propri modelli nel secondo Novecento. E in una tradizione riletta con spirito post-moderno. Grazie a una scrittura già adulta, schietta, dove emergono rabbia e cinismo, violenza e una certa laica religiosità, sfumature melò e un barocco giocoso, di chi ama le parole e chi le pronuncia. Ma quello che forse più sorprende del teatro del giovane autore pugliese, è l’innegabile natura scenica che si sposa con il piacere della lettura. A soddisfare così lettori e spettatori. Mica poco».
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